E fu con questi uomini e donne che decisero di sollevarsi da terra, prima le persone reali, poi i personaggi di fantasia, che ho imparato a essere paziente, a confidare e ad affidarmi al tempo che, contemporaneamente, ci crea e ci distrugge e di nuovo ci crea per poi distruggerci ancora. Solo che non sono certo di aver appreso in modo adeguato tutto ciò che la durezza delle esperienze ha reso virtù in quelle donne e in quegli uomini: un atteggiamento naturalmente stoico nei confronti della vita. Considerato, però, che l’insegnamento ricevuto, trascorsi più di vent’anni, è ancora intatto nella mia memoria, che ogni giorno lo sento presente nel mio spirito come un insistente richiamo, non ho perso del tutto la speranza di riuscire a essere all’altezza degli esempi di dignità che mi sono stati dati nell’immensità delle pianure dell’Alentejo. Solo il tempo lo dirà.
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L’itinerario José Saramago a Monte Lavre invita il viaggiatore a seguire i principali percorsi dello scrittore nei suoi soggiorni a Lavre del 1976 e seguenti, passando per alcuni luoghi chiave dove vissero gli uomini e le donne che ispirarono il romanzo Una terra chiamata Alentejo. Nel pieno della Riforma Agraria, l’autore fu accolto nel migliore dei modi: dormiva nella Cooperativa “Vento de Leste”, mangiava a casa della famiglia Besuga e c’era sempre qualcuno che lo accompagnava nel suo girovagare e sempre qualcuno con cui conversare.
Il percorso termina a Ponte Cava con due aspetti importanti da sottolineare: il primo, letterario, perché questo luogo è vicino al mulino dove «Sara da Conceição» si rifugia; il secondo, biografico, perché questo posto è stato fonte d’ispirazione per José Saramago nella scrittura di Una terra chiamata Alentejo. A Ponte Cava, l’autore vedeva i gruppi di contadini che andavano a lavorare nei campi e ne approfittava per parlarci e sentire il polso del popolo. Si tratta di un percorso parallelo alla Ribeira di Lavre, con aree verdi e di ristoro che esortano il viaggiatore a godere di momenti di grande ispirazione.
Denominazione:
Percorso tematico
Nome:
José Saramago – lo scrittore a Monte Lavre
Coordinate geografiche:
38º46’34’’N 8º22’15’’ (Casa di Mariana e João Besuga, Lavre)
Frazioni:
Insieme delle frazioni di Cortiçadas de Lavre e Lavre
Comuni:
Montemor-o-Novo
Accessi:
IC10 – Rua 5 de Outubro – Rua da Liberdade – Rua Bernardino Machado – Rua Machado dos Santos – Rua de Santo António – seguire la segnaletica del percorso lungo Ribeira de Lavre
Tipologia:
A piedi
Distanza:
3 Km a piedi
Durata media:
2 ore
Tipo di percorso:
Strada urbana e sterrata
Segnaletica:
Presente
Proprietà:
Strade pubbliche
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I primi riferimenti alla località di Lavre o Lavar (sua denominazione nel Medioevo) risalgono al XIII secolo. La cittadina di Lavre divenne sede di municipio nel 1304, per concessione del sovrano Dionigi I. Rimase proprietà della Corona fino al 1430, anno in cui il re Giovanni I la diede al tedesco, Lamberto Horques, con l’obiettivo di promuovere il popolamento della regione. Nel 1520, Lavre riceve un nuovo statuto dal re Emanuele I. È stata una delle zone dell’Alentejo più colpite dal terremoto del 1755 e la maggior parte dei suoi edifici risultò danneggiata. A partire da questa data, Lavre attraversa un periodo di decadenza e, nel 1836, il comune viene disattivato e il territorio annesso a Montemor-o-Novo. Lavre appartiene al comune di Montemor-o-Novo, si estende su una superficie di 116,40 km2 e ha una popolazione di 740 abitanti (2011).
Ulteriori informazioni nel sito:
Recapiti utili:
Amministrazione frazioni di Cortiçadas de Lavre e Lavre
+351 265 894 193
Numeri di emergenza:
GNR
+351 265 894 211
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All’uscita nord di Lavre, il viaggiatore svolta a sinistra, all’altezza di un antico abbeveratoio, e si imbatte in una lapide commemorativa dei venticinque anni di Una terra chiamata Alentejo, che segnala la casa dei Besuga.
Mentre si trovava a Lavre, nel 1976, José Saramago consumava i suoi pasti a casa di Mariana e João Basuga. Nel 2019, Mariana Basuga, sebbene ormai abitasse a Lisbona, assistita da sua figlia Paula Alves, volle riceverci nella stessa casa in cui aveva accolto a braccia aperte José Saramago. A Lavre, il ricordo di questa casa è ancora vivo tra i più anziani. Durante la Riforma Agraria, Mariana e João mettevano a disposizione la propria casa come ambulatorio e fu proprio lì che molte persone videro per la prima volta un medico. A pranzo c’erano studenti, medici e, per qualche tempo, uno scrittore, José Saramago. Mariana Besuga, ormai vedova, ricorda il marito con nostalgia quando ci dice che avevano un sogno: “Fino a quando ci sarà la Riforma Agraria, ci sarà sempre un piatto alla nostra tavola!”
Siamo amici, João Besuga, amici di un’amicizia che certa gente in Portogallo fa di tutto perché non ci sia: l’amicizia che, con una facilità che a quella gente toglie il sonno, unisce l’intellettuale e il lavoratore, lo scrittore che vive a Lisbona e il lavoratore agricolo nato, cresciuto e amareggiato in Alentejo, l’io che noi due siamo qui e il tu moltiplicato nei volti di uomini e donne, la vostra fermezza e il nostro apprendimento. Per quasi due mesi mi sono seduto alla tua tavola, ho mangiato quello che tu mangiavi: pane e olive, il pesce del fiume, il maiale, açorda e migas. Abbiamo parlato, molto, ma non di tutto, perché due mesi non sono niente ed è incredibilmente lunga la storia delle vostre fatiche. Con te, con Mariana Amália, tua moglie, con i tuoi figli, ho imparato oppure confermato due o tre cose fondamentali: la fondamentale vicinanza di chi non ha legami di sangue e che, nella distribuzione dell’intelligenza, non sempre la parte migliore tocca a chi per mestiere è chiamato a farne uso per trarne il proprio sostentamento: sotto il tuo tetto vivono alcuni degli spiriti più acuti che io abbia mai incontrato.
(Saramago, Messaggio a João Besuga, alentejano, in Serra, 2010)
José Saramago non dimenticò mai Lavre e ha sempre coltivato l’amicizia con Mariana Basuga. Mariana ricorda bene il giorno in cui conobbe lo scrittore portoghese che più tardi avrebbe vinto il Nobel per la letteratura.
“Quel giorno era andato a farsi pagare e si presentarono entrambi. Quella porta, lì, era aperta e la tavola apparecchiata. Solo che non c’era il piatto per Saramago perché io non lo sapevo. E mio marito disse: «Mariana, vengo con un compagno, che ci dirà molte cose». Poveretto… Allora lui disse: «Vorrei lavarmi le mani». Gli abbiamo indicato dove. «Allora, da mangiare, ditemi un po’, che c’è?», «Guarda, c’è il bollito», gli dissi. «Bollito? Con le fave?», «No, senza fave», «Perché a me le fave non piacciono. Mi piace tutto tranne le fave.» «Allora va bene, perché fave non ce ne sono.»
Mariana è colei che in qualche modo incarna Lavre per me. Lavre è stata la casa di Mariana prima ancora di essere Lavre.
(Saramago, 2018)
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Su rua Bernardino Machado, il viaggiatore troverà l’edificio appartenuto alla Cooperativa di Consumo “Vento de Leste”, attualmente di proprietà privata. Fu in questa Cooperativa che José Saramago fu alloggiato, in occasione del suo soggiorno a Lavre tra il 18 marzo e il 2 maggio del 1976. La Cooperativa accolse lo scrittore nello spirito della Riforma Agraria, che permetteva di lavorare a quanti non ne avevano le condizioni. Lavre ebbe un ruolo chiave nella Riforma Agraria e per questo attrasse molte persone. E tutti vennero a collaborare, medici, studenti e, in un modo che potremmo definire eterno, anche lo scrittore José Saramago, che ha fatto conoscere le voci della lotta alentejana nel mondo, con quella che è la prima grande opera letteraria del Nobel per la Letteratura.
Dopo il tentativo del colpo di stato militare del 25 novembre 1975, che sancì la fine del Processo Rivoluzionario in Corso, sostituito dal Processo Costituzionale in Corso, il “Diário de Notícias” chiude. Dopo 8 mesi in cui aveva lavorato al giornale come vicedirettore, José Saramago si ritrova disoccupato.
Nelle settimane seguenti, per mesi, neanche una persona, tra quelle a me più vicine o più distanti, si fece viva per sapere se, magari, avevo bisogno di qualcosa. Ingoiai il rospo e ben presto presi due decisioni: la prima, non cercare un lavoro che tanto, bruciato come ero per gli scontri politici in cui mi ero infilato, nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di darmi; la seconda, chiedere se a Lavre c’era un letto in cui dormire e un angolo dove lavorare al libro che volevo scrivere. La risposta arrivò subito: potevo andare quando volevo che tanto un modo si sarebbe trovato. E si trovò. Qualche settimana dopo, credo già ai primi di marzo, mi ero trasferito a Lavre, in una stanza spaziosa nella casa di un proprietario terriero che era scappato (le altre stanze erano occupate da famiglie bisognose), con una finestra che dava su un grande cortile interno, un letto molto comodo, un tavolino dove una Hermes Média attendeva l’operosità delle mie dita, il libro la cui traduzione mi ero proposto di portare avanti negli intervalli delle mie ricerche, un dizionario francese-portoghese.
(Saramago, prefazione, Serra, 2010)
Nel periodo che José Saramago trascorse a Lavre, Joaquim Vinagre aveva 15 anni e suo padre, António Vinagre, presidente della Cooperativa di Consumo “Vento de Leste”, diceva al figlio di accompagnare lo scrittore nei suoi giri per il paese e per i campi. António Vinagre ci racconta come ha conosciuto lo scrittore.
“Mio padre, all’epoca, lavorava lì alla Cooperativa di Consumo, era il responsabile, ed era sempre lì. Saramago, siccome abitava sopra, la cooperativa era al piano terra e lui abitava al primo piano, qualunque informazione la chiedeva a mio padre. Sempre a lui, perché, di giorno, non vedeva nessun altro. Mio padre gli dava le informazioni che sapeva. Spesso mio padre mi diceva: “Senti un po’, Saramago ha bisogno di compagnia. Accompagnalo.” (Vinagre, 2018)
(Português) “O meu pai, na altura, trabalhava ali na Cooperativa de Consumo, era o gerente, e era uma pessoa que estava sempre ali em cima do acontecimento. E ele, como estava a viver por cima, a cooperativa era em baixo e ele vivia no primeiro andar, ele, qualquer informação, era com o meu pai. Era a pessoa, durante o dia, não havia mais ninguém com quem ele contactava. E o meu pai ia-lhe dando as informações que sabia. Muitas das vezes, o meu pai também me dizia: «Olha, o Saramago precisa de companhia. Vai com ele.»” (Vinagre, 2018)
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Il viaggiatore prosegue lungo Rua Bernardino Machado fino a Largo da Igreja. Quindi, prende Rua Machado dos Santos e, a metà strada, raggiunge la Casa di Lettura José Saramago, che funge da polo della Biblioteca Comunale di Montemor-o-Novo.
Il romanzo Una terra chiamata Alentejo sarebbe sufficiente per l’omaggio che si è voluto rendere allo scrittore, ma la storia di questa Casa di Lettura rivela altre ragioni per la sua intitolazione. Prima del soggiorno a Lavre, José Saramago era già stato qui nel 1975. Aveva raccolto la sfida lanciata da Bernardino Barbas Pires, che, al teatro Vasco Santana di Lisbona, in occasione di un incontro del Movimento Unitario dei Lavoratori Intellettuali, chiese di donare dei libri per la creazione di una biblioteca a Lavre.
L’intervento fu molto applaudito, l’avvocato ringraziò per la fraterna accoglienza e tornò alle sue cose. Mi vergogno a dirlo, ma delle duecento e più persone che si trovavano in sala, fui l’unico, qualche giorno dopo, a mettere nel portabagagli della macchina qualche decina di libri – accuratamente selezionati, in considerazione delle possibilità certamente limitate dei destinatari. Era un fine settimana, pertanto, arrivato a Lavre, dopo un piacevole viaggio, non fu facile trovare una persona autorizzata nelle cui mani io potessi consegnare il dono letterario. Alla fine, comparve lo stesso Bernardino Pires, di ritorno da un pranzo a base di ceci e baccalà. Lo accompagnava una giovane studentessa liceale, Maria João Mogarro, che sarebbe diventata il più solido dei ponti tra Lavre e Rua da Esperança, dove all’epoca abitavo.
(Saramago, prefazione, Serra, 2010)
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Alla fine di Rua Miguel Bombarda, su Praça da República, il viaggiatore troverà una piccola abitazione con una porta verde, dove nel 2019, erano ancora visibili alcune tracce dell’esistenza della drogheria di Maria Saraiva, come l’adesivo pubblicitario che si trova ancora attaccato al vetro della porta. Maria Saraiva fu colei che ispirò a José Saramago la creazione del personaggio di «Maria Graniza».
Signora Graniza, la gente sta lottando per le otto ore di lavoro e i padroni non vogliono venire a un accordo, perciò siamo in sciopero, le vengo a chiedere di aspettare tre o quattro settimane, appena torneremo al lavoro cominceremo a pagare, nessuno rimarrà in debito di niente, è un grande favore che le chiediamo, e la padrona di quel negozio, una donna alta dagli occhi chiari e dallo sguardo scuro, mette le mani sul bancone e risponde, con il rispetto di chi è più giovane, Signor João Mau-Tempo, di sicuro come aspettarmi che un giorno si ricordino di me, la mia casa è aperta, e queste parole sibilline sono nel carattere di quella donna che fa grandi discorsi mistici e politici con i suoi clienti, e racconta storie ed episodi di cure miracolose e intercessioni, c’è di tutto nel latifondo, non soltanto nelle città. Joao Mau-Tempo se n’è uscito con la buona nuova e Maria Graniza ha preparato un nuovo elenco di crediti, speriamo che paghino tutti, com’è doppiamente dovuto.
(Saramago, 2010, p. 292)
Gli abitanti di Lavre ancora ricordano Maria Saraiva e la sua drogheria, che diede da mangiare a tanta gente nei periodi più duri di carestia. Il suo passato fa sì che sia tuttora ricordata con molto affetto come “la madre dei poveri”. Elvira Saraiva, figlia di Maria Saraiva, si ricorda di quando José Saramago si trovava a Lavre, perché spesso andava a trovarle e, quando la drogheria chiudeva, rimanevano a chiacchierare. Elvira ricorda che José Saramago faceva molte domande sulla vita di sua madre, ma ciò che conserva con più affetto è la figura di un uomo che arrivò, portando con sé un discorso diverso da quello degli altri uomini. Un discorso attento alle discriminazioni di genere ed Elvira non ha mai più dimenticato quell’uomo che portava parole di cambiamento e di trasformazione sociale.
“Maria Saraiva divenne Maria Graniza. Perché non ha usato i nomi delle persone con cui era entrato in contattato. Lei, mia madre, aveva la drogheria. E siccome conosceva molte storie sulle persone del luogo, allora lui andava da lei e ci parlava. Registrava tutto quello che lei gli diceva.
E io, l’idea che mi sono fatta di lui è che era un signore. Dopo il 25 aprile, eravamo abituati a uomini molto rozzi e lui trattava le persone, le donne, con gentilezza. Era gentile. Era una persona cortese, estremamente educato e colto. Ci piaceva stare ad ascoltarlo. […] Mia madre gli raccontò molte storie accadute a Lavre che poi lui ha usato nel libro. (Saraiva, 2017)
Nel 1998, Manuel Vieira intervista Maria Saraiva in un articolo, pubblicato nel gennaio del 1999 sul giornale “Folha de Montemor” e intitolato Maria Saraiva: memorie di sempre, dove lei ricorda il suo amico José Saramago.
“Quando stette qui, un giorno mi si avvicinò e iniziò a parlare con me. Quando si rese conto che sapevo molte cose sulla vita a Lavre, sui tanti problemi che nel tempo avevano afflitto questa regione e tutto l’Alentejo, le nostre conversazioni si fecero più frequenti. Parlavamo delle tante cose a cui avevo assistito da vicino e di altre di cui ero a conoscenza. (Saraiva, M., 1999)
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Voltato l’angolo c’è Rua Cândido dos Reis e subito si arriva a quella che fu l’ultima casa dei Serra. Una casa bassa, bianca con porta e finestra contornate di blu.
Per tutta la vita non ha fatto altro che guadagnarsi il pane, e non tutti i giorni, e proprio questo gli fa nascere un chiodo fisso nella testa, che un uomo venga al mondo senza averlo chiesto, che soffra il freddo e la fame da bambino più della norma, ammesso che ci sia una norma, che una volta adulto abbia una fame raddoppiata come castigo per avere un corpo capace di sopportare tanto, e dopo essere stato maltrattato da padroni e fattori, da guardie e guardie, arrivato finalmente ai quarant’anni, esprima la propria volontà e finisca in gabbia come bestiame da mercato o da macello, e lì, in prigione, tutto sembra prenderti in giro, sinanco la libertà è uno schiaffo, un pezzo di pane lanciato per terra per vedere se lo raccogli. Così facciamo con il pane quando cade, lo raccogliamo, ci soffiamo sopra leggermente, come se gli restituissimo lo spirito, e poi gli diamo un bacio, ma non lo mangerei più, lo spezzo in quattro partii, due più grandi, due più piccole, questo è per te, Amélia, questo per te, Gracinda, questo a te e questo a me, e se qualcuno domanda per chi sono i due pezzi più grossi, sarebbe meno di una bestia, perché io so che una bestia lo saprebbe.
(Saramago, 2010, p. 163)
Quando abbiamo parlato con António Serra ci ha rivelato che hanno vissuto in altre case di Lavre e che questa è stata l’ultima dimora della famiglia. Anche António Serra è il riferimento empirico di un personaggio del romanzo saramaghiano: «António Mau-Tempo».
António Mau-Tempo ha già iniziato a lavorare, come aiutante guardiano di porci, per il momento non ha l’età né le braccia per qualcosa di più sostanzioso. Il capoccia non lo tratta bene, è l’usanza di queste terre e di questi tempi, non indignamoci per così poco.
António Mau-Tempo lasciò il lavoro dove ce l’aveva, tornò a Monte Lavre, scese dal treno a Vendas Novas, guardò dall’esterno la caserma dove sarebbe dovuto andare in capo a tre giorni e s’incamminò, tre leghe sono […]
(Saramago, 2010, p. 171)
Scoprire, tra i tre figli maschi della famiglia Serra, quale fosse il riferimento storico per il personaggio di «António Mau-Tempo» non è stato difficile. È bastato sentirlo raccontare un po’ della sua vita per cogliere subito la relazione tra il suo racconto autobiografico e il romanzo di José Saramago.
“Ho fatto la quarta a 11 anni e fino ai 16 anni ho fatto di tutto in campagna. Sono stato acquaiolo, guardiano di bestiame, mietitore… e dopo, grazie a un amico che già lavorava a Lisbona, ho trovato da quelle parti un lavoro e sono andato a Lisbona. Io, se non me ne fossi andato, il mio destino sarebbe stato uguale a quello di mio padre, lavorare e farmi sfruttare a destra e a manca. Poi ho fatto il militare, sono finito in Marina.” (Serra, 2019).
Fu proprio in questa casa che José Saramago conobbe João Domingos Serra e la sua famiglia. João Serra cedette le sue memorie biografiche a José Saramago, un documento manoscritto che la Fondazione José Saramago ha pubblicato con il titolo Uma Família do Alentejo [Una famiglia dell’Alentejo] e con una prefazione scritta da José Saramago. In questa prefazione, lo scrittore nomina quanti hanno contribuito con le proprie storie alla trama di Una terra chiamata Alentejo, mettendo in rilievo il contributo di João Serra.
Li ho incontrati, ho parlato con loro, ho registrato bobine e bobine di conversazioni, passati tanti anni saranno ormai inutilizzabili per la muffa e l’umidità degli inverni. Quegli uomini avevano un nome, dei volti, delle rughe dovute all’età e al continuo sforzo, mani come ceppi, avrebbe detto Raul Brandão. Si chiamavano, quelli che erano di Lavre, altri erano di Montemor, João Besuga […] António Joaquim Cabecinha, Manuel Joaquim Pereira Abelho, Joaquim Augusto Badalinho, Silvestre António Catarro, José Francisco Curraleira, e altri, João Machado, Herculano António Redondo, Mariana Amália Besuga, Maria Saraiva, António Vinagre, Ernesto Pinto Ângelo… E João Domingos Serra, autore di questo piccolo libro, che ora si pubblica, lo stesso che ho avuto tra le mie mani fortunate, scritto di suo pugno.
(Saramago, prefazione, Serra, 2010)
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Siamo arrivati all’ultimo punto dell’Itinerario, le rovine di «Ponte Cava», situate a valle del mulino, dove lavoravano i mugnai «Picanço» e «Picança». Nel romanzo di Saramago, questa coppia presta aiuto ai membri della famiglia Mau-Tempo, proteggendoli dalle cattive intenzioni di «Domingos Mau-Tempo» e obbligandoli ad andare altrove.
Quando Sara da Conceição sentì dire che il marito era ricomparso a Cortiçadas, radunò i figli che vivevano con lei e, poco sicura della protezione di suo padre Carranca, prese João strada facendo e andò a nascondersi in casa di certi parenti di nome Picanços che facevano i mugnai in un posto, distante dal paese mezza lega, chiamato Ponte Cava. Questo ponte era appena ciò che ne restava, un arco spezzato e grandi massi sul letto del torrente, ma nella chiusa a monte João Mau-Tempo, insieme ai suoi coetanei, faceva il bagno nudo e quando, supino nell’acqua, fissava il cielo, nei suoi occhi tutto era cielo e acqua.
(Saramago, 2010, p. 43)
I mugnai torneranno nel romanzo quando «João Mau-Tempo» passerà per il mulino per andare a lavorare nella tenuta «Pedra Grande» e, più tardi nella manifestazione del 1958 a Montemor-o-Novo. I mugnai Picanço e Picança hanno come referenti storici José Alvarenga e Filipa Umbelina e la tenuta è una proprietà privata chiamata Pedrógão. Questo capitolo si conclude con l’impiccagione di «Domingos Mau-Tempo» (Cfr. Saramago, 2010, p. 45), ma il suo riferimento storico, Domingos Serra, non si è mai suicidato. Stando alle memorie di João Serra, è diventato un vagabondo (Cfr. Serra, 2010, pp. 59-60).
Il mio piano di lavoro era semplice. Prima di tutto, conoscere il paese e i suoi dintorni, il fiume, le rovine del ponte, che ritenevano di origine romana ma che è stato costruito nel XII secolo, la diga e il mulino, insomma, toccare con mano le cose, come sono solito dire. Quindi, scoprire quelli che avrebbero dato contenuto e sostanza al futuro libro, per lo più contadini dalla vita rivoluzionaria ignota ma con un tesoro di esperienze uniche.
(Saramago, prefazione Serra, 2010)
José Saramago percorse varie volte questo sentiero fino a Ponte Cava. A volte da solo, a volte in compagnia del giovane Joaquim Vinagre.
“Quando arrivò qui, credo che il signor Barbas Pires gli abbia dato questa informazione, che poteva essere il posto adatto dove iniziare a elaborare il libro. Era anche un luogo di passaggio per molte persone il più delle volte perseguitate dalla PIDE, la via verso le tenute di Pedrógão, Lobeira, anche per Arneiros e Vale da Bica. Dopo, c’erano dei signori, come il signor Cabecinha e altri ancora, che gli diedero informazioni sulla vita in clandestinità e le riunioni a cui avevano partecipato. Infine quelle informazioni spicciole, che uno trova per strada. Proprio qui, dove ci troviamo, si incontravano e il signor Cabecinha gliene parlò a lungo. So che lui considerava la cosa molto importante e, di conseguenza, prendeva nota.” (Vinagre, 2018)
José Saramago portava sempre con sé un registratore e un quaderno di appunti, per non perdere nulla di ciò che avveniva in questo luogo, uno dei posti dove, durante la dittatura di Salazar, si potevano trovare i giornali clandestini o i manifestini di mobilitazione per la lotta rivoluzionaria e di rivendicazione. Nel 1976, questo luogo, poi, era molto frequentato perché portava alle tenute delle UCP, dove lavoravano molti contadini. Qui, a Ponte Cava, lo scrittore ascoltava le storie del popolo alentejano per poterle poi raccontare al mondo in tutta la bellezza letteraria e con tutta la profondità umana di Una terra chiamata Alentejo.
Ponte Cava, José Saramago lo sapeva, è un luogo di incontri, di ispirazione e, soprattutto, di lotta. Per questo, ci auguriamo che questo luogo possa propiziare molti incontri e ispirare quanti continueranno a lottare per un mondo più giusto, più fraterno, più libero
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