Ci sono molti sentieri da queste parti e vanno tutti a Montemor
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Montemor-o-Novo
Percorso a piedi Germano Vidigal e José Adelino dos Santos

Montemor-o-Novo

La città di Montemor-o-Novo ha origine nel suo castello, sede dell’urbe originaria. I primi riferimenti scritti a questo luogo risalgono al 1181. Tuttavia, è solo nel 1203 che Sancho I lo annette definitivamente alla corona portoghese accordandogli il primo statuto (foral). Questo riconoscimento è stato poi rinnovato da Emanuele I nel 1503. L’importanza di questo insediamento è riaffermata dal re Sebastiano nel 1563, quando gli attribuisce il titolo di Vila Notável.

Montemor-o-Novo, nel 1580, svolse un ruolo importante nel contrasto all’invasione dei castigliani e confermò il suo carattere resistente anche durante la prima invasione francese guidata da Junot, nel 1808. Durante la guerra civile (1832-1834), la città accolse lo stato maggiore dell’esercito liberale, guidato dal Duca di Saldanha. Anche nel XX secolo i montemorensi hanno resistito e lottato contro il regime dittatoriale di Salazar, come ricorda José Saramago nel suo libro Una terra chiamata Alentejo. Nel 1988, infine, Montemor-o-Novo è stata elevata al rango di città per decisione del Parlamento portoghese.

Il percorso Germano Vidigal e José Adelino dos Santos attraversa i luoghi più significativi dei tragici omicidi di Germano Vidigal e José Adelino dos Santos, gli unici due personaggi di Una terra chiamata Alentejo che mantengono i propri nomi e ai quali José Saramago dedica il libro sin dalla prima edizione.

Nel comune di Montemor-o-Novo, durante i 48 anni della dittatura fascista, furono arrestati, torturati e perseguitati centinaia di lavoratori, per la maggior parte militanti del Partito Comunista Portoghese, ma anche altri democratici, e furono assassinati i due militanti del PCP, Germano Vidigal, il 20 maggio 1945, e José Adelino dos Santos, il 23 giugno 1958.

Denominazione:

Percorso a piedi

Nome:

Germano Vidigal e José Adelino dos Santos

Coordinate:

38°38’38” N 8°12’38” W (Rua do Matadouro – inizio del Percorso)

Frazioni:

Insieme delle frazioni di Nossa Senhora da Vila, Nossa Senhora do Bispo e Silveiras

Comuni:

Montemor-o-Novo

Accessi:

Rua do Matadouro – Largo Prof. Dr. Banha de Andrade – Rua D. Sancho I – Rua Dom Vasco – Rua da Condessa de Valença – Rua do Quebra Costas – Rua Germano Santos Vidigal – Largo Joaquim Pedro Matos – Terreiro de São João de Deus – Rua Teófilo de Braga – Largo Paços do Concelho – Largo Alexandre Herculano – Rua do Passo – Rua 5 de Outubro –Rua de Aviz – Avenida Gago Coutinho – Rua São Francisco

Per il Percorso tematico 2:

Montemor-o-Novo – Estrada Nacional 114 (EN114) – Évora

Tipologia:

a piedi

Distanza:

2,5 Km

Durata media:

3 ore

Tipo di percorso:

Urbano

Segnaletica:

Presente

Proprietà:

Strade pubbliche

Luoghi da visitare:

  • Castello di Montemor-o-Novo
  • Centro informativo del Castello
  • Centro storico della città
  • Convento di São Domingos
  • Centro Etnologico
  • Chiesa di Nossa Senhora da Visitação
  • Piscine ricreative comunali
  • eco-itinerario il Montado
  • Cineteatro Curvo Semedo
  • Archivio comunale
  • Biblioteca comunale
  • Nucleo Museologico del Gruppo Amici di Montemor-o-Novo;
  • Chiesa e Cripta di São João de Deus;
  • Chiesa della Misericórdia;
  • Chiesa del Calvário;
  • Chiesa di São Pedro da Ribeira;
  • Mercato Comunale;
  • Lapide della fontana di Nossa Senhora da Conceição;
  • Fontana del Besugo
  • Edificio dos Paços do Concelho;
  • Fontana a Rua 5 de Outubro;
  • Chiesa di São Sebastião;
  • Chiesa di Nossa Senhora da Luz;
  • Convento di São Francisco

Ulteriori informazioni sul sito:

www.cm-montemornovo.pt

 Recapiti utili:

Municipio +351 266 898 100

Ufficio Turistico +351 266 898 103

Montemor-o-Novo

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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Arena

Arena

Su Rua do Matadouro, nell’antico Rossio, il viaggiatore trova l’Arena.

Qui furono imprigionati circa millecinquecento lavoratori agricoli che avevano preso parte alle manifestazioni del 20 maggio 1945. Tra la folla c’era Germano dos Santos Vidigal (1910-1945), presidente del Sindacato dei lavoratori edili e dirigente dell’organizzazione comunista locale, che venne scelto per dare l’estremo esempio della violenza della repressione fascista. Germano dos Santos Vidigal fu, infatti, assassinato dopo diciassette giorni di tortura.

 

 

Si parla tanto per passare il tempo, o per non farlo passare, è come mettergli la mano sul petto e dire, o supplicare, Non andare, non muoverti, se fai questo passo mi calpesti, che male ti ho fatto. Ed è anche come abbassarsi, posare la mano per terra e dire, Fermati, non girare, voglio vedere ancora il sole. Siamo a questo punto, lanciamo una parola dietro l’altra per vedere se ne nascono di diverse, e nessuno si è accorto che il cavaliere è sceso nella piazza e sta cercando un uomo, uno solo, in questo momento, che non è neppure un leone con la falce e non viene da lontano, e quest’uomo, se gli dessero un quaderno perché scriva ciò che sa e se lui, come faranno il giorno dopo i quattro di Monte Lavre, mettesse sulla prima riga, o su tutte, perché non ci siano dubbi e non si cambi idea da una pagina all’altra, se lui vi mettesse il proprio nome, dico, scriverebbe Germano dos Santos Vidigal per esteso.

 Ecco, lo hanno trovato. Lo portano via due guardie, dovunque ci giriamo non si vede altro, alla porta di uscita del settore sei se ne accodano altre due, e adesso, sembra fatto apposta, è tutta una salita, come se stessimo guardando un film sulla vita di Cristo, lassù c’è il Calvario, questi sono i centurioni con stivali rigidi e sudore guerriero, issano le lance, c’è un caldo soffocante.

(Saramago, 2010, pp. 142-143)

L’omicidio di Germano Vidigal, nel 1945, è l’epilogo del grande fermento sociale esploso durante la Seconda Guerra mondiale, a causa della grave crisi economica che devastò il paese. La popolazione e i lavoratori portoghesi mancavano dei beni di prima necessità come il pane o il lardo, che venivano inviati in enormi quantità dal governo di Salazar alla Germania nazista. La pesante crisi acuì la rivolta popolare che, dagli anni Quaranta, assunse contorni politico-rivoluzionari. In tal senso, fondamentale fu la riorganizzazione del Partito Comunista Portoghese nel 1940-1941. Il PCP esercitò una grande influenza sulla classe lavoratrice per la presa di coscienza e la rivendicazione dei propri diritti, attraverso giornali clandestini come “O Camponês” o l’“Avante” – che cominciarono da allora a essere pubblicati con regolarità – e altre pubblicazioni di minor rilievo. Contribuirono alla mobilitazione anche l’emittente clandestina Radio Mosca, che dal 1930 cominciò a realizzare le proprie trasmissioni in lingua portoghese e, soprattutto, gli incontri clandestini che promuovevano l’organizzazione e la mobilitazione delle masse per la lotta di rivendicazione. La vittoria degli alleati sul regime nazi-fascista incoraggiò la popolazione, portando migliaia di persone a sfilare nei borghi e nelle cittadine in marce contro la fame. A Montemor-o-Novo, lo ricordiamo a titolo di esempio, nell’aprile del 1945 presso la Casa del Popolo si tenne una manifestazione di settecento contadini che rivendicavano paghe migliori, pane e lardo. Il 20 maggio dello stesso anno, più di duemila lavoratori consegnarono un documento di rivendicazione alla Casa del Popolo e al Sindacato degli Agrari. La repressione del regime contro la crescente opposizione dei lavoratori della zona non si fece attendere. Il giorno dopo, circa millecinquecento uomini e donne furono rinchiusi nell’Arena di Montemor-o-Novo.

 António Gervásio, un montemorense che nel 1945 aveva aderito al PCP, ricorda, in un opuscolo intitolato La storia della nascita del Partito Comunista Portoghese a Montemor-o-Novo, l’assemblea dei lavoratori convocata dal partito nel maggio di quell’anno, nella quale si riunirono durante la notte più di 30 lavoratori, in una radura nei pressi della chiesa di Nossa Senhora da Visitação. Questa azione mobilitò più di mille persone che rivendicarono pane e lavoro, davanti alla caserma della Guardia Nazionale Repubblicana. Il comandante, il tenente Pessoa, propose ai manifestanti di recarsi nell’Arena, per facilitare il dialogo e questi, secondo Gervásio, lo fecero senza opporsi. Una volta arrivati lì, furono rinchiusi dentro e non poterono più uscire. Fu una trappola ordita da quel tenente. (cfr. Gervásio, 2013).

 

Arena

R. do Matadouro 6, 7050-225 Montemor-o-Novo
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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Centro Etnologico – Museo Locale

Centro Etnologico – Museo Locale

Il viaggiatore continua il percorso lungo Rua do Matadouro e, sulla destra, imbocca rua D. Sancho I. Poi attraversa Largo Dr. Banha de Andrade fino a imbattersi nel Centro Etnologico – Museo locale di Montemor-o-Novo.

Facendo una pausa nel tragico percorso di Germano Vidigal, Il viaggiatore è invitato a entrare nella dimensione storica del romanzo, potendo trovare qui riuniti, in un unico spazio espositivo, una mostra del patrimonio culturale, materiale e immateriale, del popolo alentejano del XX secolo: gli strumenti per i lavori agricoli, relativi ad alcune professioni ormai scomparse o in via di estinzione. Questo patrimonio è stato raccolto dall’Associazione folcloristica ed etnografica di Montemor-o-Novo e dalle analoghe associazioni di Ciborro, Cortiçadas di Lavre e di Foros de Vale Figueira.

Che per un uomo di lavori ce ne sono tanti. Di alcuni si è già parlato, e adesso aggiungiamone altri, per completare l’illustrazione, perché la gente di città, nella sua ignoranza, pensa che tutto si riduca a seminare e a raccogliere, eppure si sbaglia se non impara a pronunciare tutte le parole e a capire che cosa siano, mietere, trasportare fascine, falciare, trebbiare con la macchina o con il sangue, battere la segala, pressare il pagliaio, imballare la paglia o il fieno, battere il granturco, sterrare, spargere il concime, seminare cereali, arare, tagliare, dissodare, sarchiare il granoturco, potare, ferrare, vangare, ammucchiare, fare le fosse per lo sterco o il magliuolo, scavare i fossati, innestare le vigne, coprire gli innesti, solforare, trasportare l’uva, lavorare nelle cantine, negli orti, zappare la terra per i legumi, scrollare gli ulivi, lavorare al torchio, cavar corteccia tosare il bestiame, lavorare nei pozzi, in trivelle e precipizi, spaccare la legna, incidere, infornare, disboscare, spolverare, insaccare, quanta roba, santo Dio, quante parole belle, tante da arricchire i lessici, beati quelli che lavorano, e come si farebbe allora se ci mettessimo a spiegare come si fa ogni lavoro e in che periodo, gli strumenti, gli arnesi, e se sia compito da uomo o da donna, e perché.

(Saramago, 2010, p. 80)

Centro Etnologico – Museo Locale

Largo Prof. Dr. Banha de Andrade 3, 7050-111 Montemor-o-Novo
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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Caserma della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR)

Caserma della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR)

Su Largo Prof. Dr. Banha de Andrade, di fronte al castello, il viaggiatore attraversa Rua de São Domingos e prende Rua D. Vasco, dove si trova la caserma della Guardia Nazionale Repubblicana.

Il 23 maggio del 1945, Germano Vidigal viene portato nella caserma della GNR di Montemor-o-Novo, dove morirà il 9 giugno, vittima di un efferato omicidio compiuto da due agenti della PIDE, famigerati per la violenza dei loro interrogatori, Barros e Carrilho (“Avante”, 2010), che José Saramago nel romanzo chiama «Escarro» e «Escarrilho» (Sputo e Sputacchio). Germano Vidigal non denunciò nessuno dei suoi compagni, si mantenne saldo e integro fino all’ultimo momento della sua breve vita.

[…] nel girarsi hanno trovato il prigioniero impiccato con un fil di ferro, proprio come si trova adesso, un capo arrotolato attorno a quel chiodo là e l’altro girato due volte attorno al collo di Germano Santos Vidigal, sì, si chiama Germano Santos Vidigal, è importante per il certificato di morte, bisogna chiamare l’ufficiale sanitario, e il corpo è in ginocchio come vedete, sì in ginocchio, non c’è da meravigliarsi, quando uno si vuole impiccare, perfino dalla sbarra del letto, si tratta di volerlo, qualcuno ha dei dubbio, Io no, è quanto affermano il tenente ed il sergente, nonché il caporale e i due militi e i tre prigionieri, che per via di questa fine saranno probabilmente rimessi in libertà oggi stesso. Circola grande indignazione tra le formiche, le quali hanno assistito a tutto, prima queste, poi quelle, ma nel frattempo si sono riunite e hanno collazionato quanto visto, persino la formica più grande, che è stata l’ultima a vederlo in viso, in primo piano, come un gigantesco paesaggio, e si sa che i paesaggi muoiono perché li ammazzano, non perché si suicidino.

 Hanno subito portato via il corpo. Escarro e Escarrilho radunano gli strumenti del mestiere, il manganello, la sferza, si sfregano le nocche delle dita, ispezionano punte e tacchi, che non vi sia rimasto attaccato qualche filo del vestito o una macchia di sangue a denunciare agli occhi acutissimi del detective Sherlock Holmes la debolezza dell’alibi e l’incongruenza degli orari, ma non c’è pericolo, Holmes è morto e sepolto, tanto morto quanto Germano Santos Vidigal, tanto sepolto quanto sarà questi tra poco, e su codesti fatti dovranno passare gli anni e dovrà il silenzio, fino a quando le formiche acquistino il dono della parola e dicano la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. (Saramago, 2010, p. 151)

La versione ufficiale della morte di Germano Vidigal riporta suicidio per impiccagione, ma nel romanzo di José Saramago il lettore trova una versione che, per quanto finzionale, è molto vicina alle testimonianze orali. João Machado, un lavoratore montemorense membro del PCP dal 1943, fu anch’egli arrestato in quella retata della PIDE. Stando ai documenti raccolti nella mostra A Semente e os Frutos, possiamo affermare che João Machado fu uno dei testimoni a cui José Saramago fece ricorso per raccogliere informazioni sulla tragedia di Germano Vidigal. Vediamo un estratto della testimonianza conservato da Saramago e tratto dalla documentazione della mostra.

“Quando morì Germano Vidigal, il medico che all’epoca era il vice-delegato sanitario, il dottor Romão, quello mi disse, proprio a me, che si era impiccato. Io gli risposi: «dottore, lei sa meglio di tutti che quell’uomo è stato ammazzato in modo violento e criminale», «Sì, sì, João, ma questo non si può dire». «Non può dirlo Lei, dottore, ma io sì. E Lei, come dottore, come delegato sanitario ha una grande responsabilità.», «Ma io non posso. E tu stai attento», «Se solo Lei dicesse» «Ah, io no, e tu stai attento, che puoi finire dentro un’altra volta»” (Machado, 1977).

Abbiamo parlato con la figlia di João Machado, Margarida Machado, di come ricorda gli incontri tra suo padre e Saramago e sull’importanza di quest’opera letteraria per la memoria di questi avvenimenti.

“Il romanzo l’ha fatto Saramago, ma dentro ci sono le loro storie. La storia della lotta e della resistenza della gente di Montemor-o-Novo. È stata una grande gioia per loro, quella di rimanere per le future generazioni. [Il Premio Nobel] È stato il riconoscimento a chi ha raccontato, allo scrittore, ma in qualche modo anche alle vite vissute e alla gente montemorense. È così che lo hanno considerato. E quell’amicizia che si era creata, anche Saramago, quando fece ritorno in queste terre, fu contento di rivedere quelli con cui aveva legato per tanto tempo. Ecco perché in quell’incontro entrambi hanno una espressione così felice, tanto João Machado come José Saramago (Machado 2019).

La versione ufficiale della morte di Germano Vidigal riporta suicidio per impiccagione, ma nel romanzo di José Saramago il lettore trova una versione che, per quanto finzionale, è molto vicina alle testimonianze orali. João Machado, un lavoratore montemorense membro del PCP dal 1943, fu anch’egli arrestato in quella retata della PIDE. Stando ai documenti raccolti nella mostra A Semente e os Frutos, possiamo affermare che João Machado fu uno dei testimoni a cui José Saramago fece ricorso per raccogliere informazioni sulla tragedia di Germano Vidigal. Vediamo un estratto della testimonianza conservato da Saramago e tratto dalla documentazione della mostra.

“Quando morì Germano Vidigal, il medico che all’epoca era il vice-delegato sanitario, il dottor Romão, quello mi disse, proprio a me, che si era impiccato. Io gli risposi: «dottore, lei sa meglio di tutti che quell’uomo è stato ammazzato in modo violento e criminale», «Sì, sì, João, ma questo non si può dire». «Non può dirlo Lei, dottore, ma io sì. E Lei, come dottore, come delegato sanitario ha una grande responsabilità.», «Ma io non posso. E tu stai attento», «Se solo Lei dicesse» «Ah, io no, e tu stai attento, che puoi finire dentro un’altra volta»” (Machado, 1977).

Abbiamo parlato con la figlia di João Machado, Margarida Machado, di come ricorda gli incontri tra suo padre e Saramago e sull’importanza di quest’opera letteraria per la memoria di questi avvenimenti.

“Il romanzo l’ha fatto Saramago, ma dentro ci sono le loro storie. La storia della lotta e della resistenza della gente di Montemor-o-Novo. È stata una grande gioia per loro, quella di rimanere per le future generazioni. [Il Premio Nobel] È stato il riconoscimento a chi ha raccontato, allo scrittore, ma in qualche modo anche alle vite vissute e alla gente montemorense. È così che lo hanno considerato. E quell’amicizia che si era creata, anche Saramago, quando fece ritorno in queste terre, fu contento di rivedere quelli con cui aveva legato per tanto tempo. Ecco perché in quell’incontro entrambi hanno una espressione così felice, tanto João Machado come José Saramago (Machado 2019).

Caserma della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR)

R. Dom Vasco 42, 7050-226 Montemor-o-Novo
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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Castello di Montemor-o-Novo

Castello di Montemor-o-Novo

Il Castello corrisponde all’insediamento originario di Montemor-o-Novo. Afonso Henriques poco dopo il 1166, conquisterà il castello ai mussulmani. Il monumento è oggi costituito dai muraglioni e dalle torri, antichi edifici religiosi e le rovine del Paço dos Alcaides. In questo castello si discusse del primo viaggio in India.

Il viaggiatore percorre il tragitto fino al castello, incamminandosi lungo una ripida salita che passa per rua D. Vasco e rua Condessa de Valenças. L’entrata del castello è attraverso la Porta da Vila, accanto alla Torre dell’orologio, salendo poi fino ai muraglioni. Dall’alto, volge lo sguardo verso il Comune, su Largo dos Paços do Concelho, dove José Adelino dos Santos fu assassinato dalla GNR il 23 di giugno del 1958.

Alla manifestazione erano presenti circa trecento lavoratori, che rivendicavano incrementi salariali e esprimevano il proprio malcontento per i recenti brogli in occasione delle elezioni del presidente della repubblica avvenute l’8 giugno. In quell’occasione il “generale senza paura”, Humberto Delgado, uscì sconfitto, nonostante l’enorme consenso di cui godeva tra i portoghesi e, in particolare, tra gli alentejani.

Da quassù si vede come dai vicoli confluiscano tutti verso la piazza del municipio. Sembrano formiche, dice un piccolo ereditiero fantasioso, e il padre rettifica, Sembrano formiche, ma sono cani, vedete dunque come tutto si componga e si spieghi, in questa breve e chiara frase, e poi si fa silenzio, adesso non si può perdere nulla di quello che succederà, guardate come davanti al municipio sia già pronto un plotone di soldati della guardia, evviva la guardia, ecco lì il sergente, che cos’ha in mano, è una mitragliatrice, l’ha pensato anche Gracinda Mau-Tempo e, alzando gli occhi, ha visto il castello pieno di gente, chi saranno. Si è riempita la piazza. Quelli di Monte Lavre stanno uniti, unica donna, Gracinda, il suo uomo, Manuel Espada, suo fratello e suo padre, António e João Mau-Tempo, e Sigismundo Canastro che dice, Non separiamoci, e ce ne sono altri due che si chiamano José, che fa di cognome Picanço ed è il bisnipote dei Picanço mugnai di Ponte Cava, l’altro Medronho, come a dire corbezzolo, di cui non c’è mai stato bisogno di parlare fino ad ora. Si trovano in mezzo a un mare di gente, il sole batte su questo mare e brucia come un cataplasma di ortiche, al castello si apre qualche ombrellino, è una festa. (…)

 Sono già cominciate le grida, vogliamo lavoro, vogliamo lavoro, vogliamo lavoro, non dicono molto più, solo qua e là qualche insulto, ladri, e a voce bassa, come se del fatto che ci siano se ne vergognasse chi lo lancia, e qualcuno grida, Elezioni libere, ormai è acqua passata, ma il grande baccano aumenta e attutisce tutto il resto, Vogliamo lavoro, vogliamo lavoro, che razza di mondo è mai questo dove c’è chi del riposo fa un mestiere e chi lavoro non ne ha, anche se lo chiede.

(Saramago, 2010, pp. 266-267)

José dos Santos nacque nel 1912, era conosciuto con il nome del padre, Adelino, è fu un militante comunista, arrestato due volte dalla PIDE, nel 1945 e nel 1947, e in seguito assassinato il 23 di giugno del 1958. La sua morte provocò un’ondata di proteste da nord a sud e un clima di contestazione a livello nazionale generato da un crimine che, secondo Teresa Fonseca, fu premeditato (cf. Fonseca 2008). José dos Santos era un uomo molto rispettato tra i montemorensi, come testimoniano le parole del suo amico e compagno di partito José Salgueiro. “Come lui, nel partito c’era solo João Machado. Erano entrambi intelligenti, ma per me, lui spiccava per il modo in cui vedeva le cose, perché ci sono persone che sono militanti e fanatici, e lui no. Era un ferreo militante del Partito ma, nella vita privata, era eccezionale, come non ne ho mai visti!” (André, 2017, p. 39).

 

La mattina del 23 giugno del 1958, José dos Santos, António Farrica, António Malhão, João Machado, tra gli altri, avevano percorso le zone limitrofe di Montemor-o-Novo, mobilitando i lavoratori per la manifestazione di rivendicazione prevista quello stesso pomeriggio. Antonio Farrica e Joao Machado vengono arrestati dalla GNR, e Joao Machado viene violentemente malmenato. Né questo, né il fatto di essere stato intercettato e minacciato dalla GNR quella stessa mattina, dissuasero José dos Santos dal partecipare alla manifestazione dei lavoratori. Nel Centro interpretativo Una terra chiamata Alentejo, viene ricordato anche il ruolo di «Gracinda, l’unica donna» di Lavre presente alla manifestazione. Se in «João Mau-Tempo» il percorso che porta dalla rassegnazione alla lotta rivendicazione e rivoluzionaria si realizza in una sola persona, il medesimo percorso si compie al femminile attraverso tre generazioni. La rassegnazione di «Sara da Conceição», chiusa nel suo silenzio, cambia poco con «Faustina Mau-Tempo», anche se è possibile cogliere in questo personaggio una tendenza alla protesta che va oltre il silenzio; è solo con «Gracinda» che la donna comincia a essere una voce attiva nella lotta sociale. Dal silenzio al grido rivoluzionario passano tre generazioni, è lei, come dirà «João Mau-tempo», la “figlia ribelle”. (Saramago, 2010, p. 163)

Castello di Montemor-o-Novo

Montemor-o-Novo
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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Centro Interpretativo Levantado do Chão – José Saramago

Centro Interpretativo Levantado do Chão – José Saramago

Contemplando l’ampio orizzonte, il viaggiatore scende lungo Rua do Quebra Costas e Rua Germano Santos Vidigal dove, in fondo alla strada, sulla destra, in quella che oggi è una residenza privata, per decenni ci fu la lattoneria dove lavorava Germano Vidigal. Riprende il percorso sulla sinistra, a Largo Joaquim Pedro Matos, e svolta di nuovo a sinistra verso il Terreiro di São João de Deus, patrono della città di Montemor-o-Novo. Vicino alla chiesa, nell’antico convento São João de Deus, c’è un edificio settecentesco restaurato dal Comune, che ospita la Biblioteca e il Museo comunale, oltre al recente Centro Interpretativo Levantado do Chão – José Saramago.

 Questo spazio mette a disposizione del viaggiatore un’esperienza unica, attraverso alcuni dispositivi tecnologici di carattere ludico e pedagogico che presentano il contesto dell’opera di José Saramago, approfondendo aspetti storici ed etnografici del comune di Montemor-o-Novo.

Centro Interpretativo Levantado do Chão – José Saramago

Terreiro de São João de Deus 5, 7050-213 Montemor-o-Novo
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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Comune

Comune

Dopo la visita al Centro Interpretativo Una terra chiamata Alentejo, il viaggiatore percorre Rua Teofilo Braga fino a Largo dos Paços do Concelho, dove si trova la sede del Comune. Accanto a questo edificio c’è un monumento dedicato a José Adelino dos Santos.

Il 23 giugno del 1958 il sindaco, José Nunes Vacas, si rifiutò di ricevere i lavoratori, che chiedevano di discutere provvedimenti per contrastare l’elevato costo della vita, che si traduceva in fame e miseria per la popolazione. Invece del dialogo, il sindaco ricorre alla PIDE e alla GNR, che accorrono con rinforzi provenienti da Évora e da Vendas Novas.

Questa è stata la potenza del ventitré di giugno, fissatelo bene nella memoria, ragazzi, anche se molti altri impreziosiscono la storia del latifondo per altre, ugualmente, gloriose ragioni. Proprio quel giorno si distinse la fanteria e in special modo quella del sergente Armamento, uomo di fede cieca ma di legge sbagliata. Quel giorno ci fu la prima raffica della mitragliatrice, e un’altra, entrambe sparate in aria per avviso, che quando si udirono al castello fu tutto applausi ed evviva, tutti applaudirono, le graziose ragazze del latifondo arrossate dal caldo e dalla emozione sanguinaria, e i padri e le madri e la fila dei fidanzati frementi dalla voglia di fare una uscita, uscire dalla porta della città, armati di tutto punto e finire l’opera. Ci ammazzano tutti.  La terza raffica punta in basso, ora vedrai i vantaggi dell’allenamento al tiro al bersaglio, aspetta che si disperda il fumo, non male, anche se poteva andar meglio ci sono tre a terra, e ce n’è uno che si alza, appoggiato ad un braccio, fortunato, e un altro che striscia ferito, trascina una gamba, e quello lì che non si muove è José Adelino dos Santos, è José Adelino, dice uno di Montemor che lo conosce. È morto José Adelino dos Santos, si è preso una pallottola in testa, che sùbito nemmeno lui ci credeva, scosse la testa come se lo avesse morso un animale, poi ha capito, Ah maledetti mi hanno ammazzato, è caduto sulla schiena, impotente, non c’era lì la moglie che potesse sistemarlo, gli si fece un cuscino di sangue sotto la testa, un cuscino rosso, grazie molte. Ricominciano ad applaudire al castello, indovinano che questa volta si fa sul serio, e la cavalleria carica, disperde il popolino, bisogna raccogliere il corpo, nessuno si avvicini.

(Saramago, 2010, pp. 266-267)

La cavalleria della GNR entra nell’edificio del Comune e disperde con violenza i manifestanti. Dalla strada si sentono i colpi sparati dentro l’edificio. José Adelino dos Santos viene colpito e muore, assassinato dal regime. Il sentimento di rabbia e di ribellione dei presenti si coglie dai gesti di un solo uomo, Antonio Piteira. “con le mani insanguinate, del sangue dell’amico, in uno stato di grande agitazione, improvvisò un vero e proprio comizio, manifestando la sua indignazione contro la dittatura e contro la tragedia appena avvenuta. E di fronte alla minaccia della polizia che ripeteva l’ordine di tacere, rispondeva, sprezzante, che ammazzassero pure lui” (Fonseca, 2008, p. 219).

Lo stesso funerale di José Adelino fu oggetto di una grande polemica, narrata anche da José Saramago. Ricordiamo un brano della conversazione tra i personaggi «Leandro Leandres» e il dottore «Cordo».

 

Attento a quello che fa, se non toglie il corpo, sarà peggio per lei, e il medico risponde, Faccia come vuole, io un corpo di un uomo morto non lo tolgo e detto questo si ritirò, andò a curare i feriti che feriti erano, e non mancavano, Alcuni vennero portati in prigione, tra quelli feriti e quelli sani, erano più di un centinaio, e anche José Adelino dos Santos finì per essere portato a Lisbona, una commedia recitata dalla PIDE, per far finta che si fece di tutto per salvarlo, e tutto ciò sa di crudele beffa, che si portarono, oltre a José Adelino dos Santos, tanti altri che là vennero incarcerati e soffrirono, come soffrì João Mau-Tempo, del quale abbiamo detto.

(Saramago, 2010, p. 270)

Al funerale di José Adelino c’erano duemilacinquecento persone in attesa del feretro e trecento guardie della GNR, armate di mitragliatrici, circondavano Montemor-o-Novo in un clima di enorme tensione. Il mese seguente, l’“Avante” pubblica la notizia. “Il corteo funebre da Vendas Novas è stato accompagnato da una carovana di dieci jeep della GNR, guidata dal capitano Caldeira di Évora. Hanno tergiversato per evitare la folla che aspettava il feretro. Ma la popolazione ha rotto il cordone di sicurezza che sbarrava l’accesso al cimitero e più di millecinquecento persone si sono lì riunite. Il funerale è stato una grande manifestazione di protesta contro gli assassini” (Avante, 1958).

Comune

Largo dos Paços do Concelho 8, 7050-127 Montemor-o-Novo
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Gli insorti di questa terra - Montemor-o-Novo
Archivio comunale

Archivio comunale

Il viaggiatore attraversa Largo Alexandre Herculano e prosegue per Rua do Passo, poi, a destra, risale Rua 5 de Outubro fino a Rua de Aviz, che porta all’Avenida Gago Coutinho. Dopo pochi metri svolta a sinistra sulla Carreira de São Francisco e subito trova, sulla destra, il cimitero dove è sepolto José Adelino dos Santos. Proseguendo arriva all’Archivio Storico Comunale, dove termina questo itinerario.

 

Ospitato in un’ex-prigione, l’Archivio conserva e promuove la memoria di tutto il comune, con documenti che vanno dal XV secolo fino ad oggi.

All’interno dell’Archivio c’è il CDARA – Centro di Documentazione e Archivio della Riforma Agraria. Questo centro è fondamentale per gli studiosi ma anche per il lettore interessato a saperne di più sul contesto storico del romanzo Una terra chiamata Alentejo.  Qui avrà a disposizione un’ampia documentazione sugli aspetti sociali, economici e politici della vita del popolo che ispirarono José Saramago. L’Archivio della Riforma Agraria è costituito dalla documentazione proveniente dalle antiche unità collettive di produzione agro-pecuaria di tutto l’Alentejo e del Ribatejo, dai sindacati agrari, così come da conferenze sulla Riforma Agraria e da altre istituzioni che sostennero questo movimento. Questo insieme documentale, riunito per iniziativa del Comune e grazie alla donazione dei rispettivi detentori, è destinato a salvaguardare archivi nei quali è possibile studiare le forme di organizzazione, l’attività economica, le relazioni sociali e altri aspetti relativi al periodo della Riforma Agraria.

Dopo la proprietà dei Mantas dirigono su quelle di Vale da Canseira, di Relvas, di Monte de Areia, di Fonte Pouca, di Serralha, di Pedra Grande, in tutte le proprietà si requisiscono le chiavi e si scrivono gli inventari, siamo lavoratori, non siamo mica qui per rubare, e d’altronde non c’è neppure nessuno che affermi il contrario, perché in tutti questi posti attraversati e occupati, colline, saloni, cantine, stalle, pagliai, angoli, cantucci e anfratti, porcili e pollai, cisterne e vasche d’acqua piovana, sono assenti tutti i Norberti e i Gilberti, dove sono andati a finire, vai a saperlo. La guardia non mette il naso fuori della caserma, gli angeli spazzano il cielo, è un giorno di rivoluzione, accipicchia quanti sono.

(Saramago, 2010, p. 313)

Oltre all’archivio, il Centro di Documentazione riunisce diversi materiali: libri, fotografie, video, manifesti, giornali, etc., che documentano la Riforma Agraria. Segnaliamo il recente Archivio delle Interviste dell’Itinerario Letterario Una terra chiamata Alentejo, che consente di approfondire la conoscenza del romanzo da diverse prospettive come la biografia, gli studi letterari, l’antropologia, le scienze politiche fino alla storiografia locale. Ci limitiamo a evidenziare solo alcuni documenti che fanno riferimento al contesto del romanzo Una terra chiamata Alentejo e che sono disponibili in questo spazio di cultura e storia.

Archivio comunale

Largo de São Francisco 35-27, 7050-118 Montemor-o-Novo