Lisbona è una delle poche città, a livello mondiale, a offrire uno scenario naturale unico. La presenza del fiume Tago ci accompagna lungo tutto l’itinerario, alla scoperta del lungofiume e della rispettiva zona portuale, con strade piene di storia della sua gente e degli avvenimenti più significativi che hanno plasmato il “volto” di questa città.
Sotto un cielo quasi sempre azzurro, la luce di Lisbona colora tetti, strade, caseggiati, finestre e angoli verdi in una varietà di toni e colori, che sono stati scelti come scenari per film e scatti fotografici.
Trattandosi di una città costruita su colline, dai diversi belvedere, situati nei punti più elevati, si possono godere panorami stupefacenti. Degno di nota è quello del Castello di San Giorgio, da dove si vedono i traghetti che si dirigono verso la sponda sud, il Ponte 25 Aprile, la Piazza del Rossio, il Convento del Carmo, il Bairro Alto, il Parco Edoardo VII, e altri punti della città. Oltre alla parte antica, con un patrimonio archeologico ricchissimo, Lisbona è anche una città moderna che ha saputo rinnovarsi con nuove proposte culturali e di svago. (Comune di Lisbona).
Il percorso a piedi João Mau-Tempo inizia nella Fondazione José Saramago, dove il viaggiatore viene invitato a conoscere la vita e l’opera di questo autore, in particolare il suo romanzo Una terra chiamata Alentejo. Il resto del percorso, dove spicca la visita al Museo dell’Aljube, riprende i ricordi delle detenzioni e delle torture inflitte a «João Mau-Tempo» dal regime fascista. Parallelamente il percorso segue i primi passi verso la libertà del protagonista, dopo sei mesi nella prigione di Caxias.
Quando arriva a Lisbona, «João-Mau-Tempo» viene incarcerato per un giorno nella prigione del Forte di Caxias, e quindi trasferito nel carcere dell’Aljube. Fu imprigionato per trenta giorni nell’Aljube e per sei mesi nel Forte di Caxias, con l’accusa di aver compiuto azioni sovversive contro il regime di Salazar, che consistevano soprattutto nella distribuzione del giornale clandestino “Avante”. Come tanti prigionieri politici, fu brutalmente torturato; subì la tortura della “statua”, insieme a continue aggressioni e umiliazioni.
Denominazione
Percorso a piedi
Titolo:
João Mau-Tempo – Resistenza e Libertà
Coordinate:
38°42’32”N 9°07’57”W
(Casa dos Bicos, inizio del percorso a piedi)
Frazione:
Santa Maria Maior
Comune
Lisbona
Accessi:
Casa dos Bicos – Rua dos Bacalhoeiros – Arco Porta do Mar – Rua Afonso de Albuquerque – Travessa Almargem – Rua São João da Praça – Beco Quebra Costas – Rua do Barão – Rua Augusto Rosa – Museo dell’Aljube – Largo Santo António da Sé – Largo Madalena – Rua da Madalena – Rua da Alfândega – Praça do Comércio – Avenida Infante Dom Henrique – Terreiro do Paço
Tipologia:
A piedi
Distanza:
1,5 Km
Durata media:
2 ore
Tipo di percorso:
Urbano
Periodo:
Tutto l’anno
Segnaletica:
Presente
Proprietà:
Strade pubbliche
Luoghi da visitare:
Recapiti utili:
Comune di Lisbona
+351 21 798 8000
Ufficio del Turismo Lisbona Centro
+351 914081366
www.visitlisboa.com
Numeri di emergenza:
112
Dove mangiare e dormire:
Informazioni nel sito
A Largo José Saramago, nella Rua dos Bacalhoeiros, il viaggiatore trova la Casa dos Bicos, sede della Fondazione José Saramago dal 2012. In questa istituzione culturale si può vedere l’esposizione permanente A semente e os Frutos, curata da Fernando Gómez Aguilera, che ritrae la vita e l’opera di José Saramago e nella quale segnaliamo lo spazio dedicato al romanzo Una terra chiamata Alentejo. Nelle bacheche, il viaggiatore può vedere la prima edizione dell’opera, del 1980, articoli di stampa e un insieme di documenti dello scrittore relativi alla preparazione di Una terra chiamata Alentejo, che vanno da brevi appunti a testimonianze raccolte dall’autore nel comune di Montemor-o-Novo. Questa documentazione fa riferimento al periodo più lungo trascorso dallo scrittore a Lavre per raccogliere le storie del popolo alentejano, dal 18 marzo al 2 maggio del 1976. A Lavre Saramago farà poi ritorno diverse volte ma per soggiorni più brevi. Di seguito trascriviamo un estratto dell’intervista del 22 febbraio del 1980 di Ernesto Sampaio a José Saramago, in occasione della pubblicazione del romanzo Una terra chiamata Alentejo, nella quale si parla dell’incontro tra lo scrittore e il popolo alentejano.
Il primo impulso, per quanto riguarda le prospettive di produzione letteraria, era stato recarmi nelle terre del Ribatejo, dove sono nato, portandomi dietro una traduzioncina che avevo in cantiere (un voluminoso trattato di psicologia), per provare a scrivere il libro d’ambientazione rurale che sentivo di dover fare. Diverse ragioni impedirono la realizzazione del progetto da quelle parti. Inoltre, mi sembrava sbagliato fare una sorta di ritorno al nido natio. Fu allora che mi ricordai del contatto che avevo instaurato, verso la metà del 1975, con l’UCP [Unità Collettiva di Produzione] “Boa Esperança” di Lavre, per una fornitura di libri destinata alla biblioteca che stavano allestendo. Scrissi, domandai se potevo andare, come avremmo fatto per il vitto e per l’alloggio e se c’era un posto dove poter lavorare, uno spazio per la macchina da scrivere. Risposero “Venga” e io andai. Rimasi a Lavre, la prima volta, per due mesi, poi, a intervalli, qualche altra settimana, e quando feci ritorno da lì avevo circa duecento pagine di annotazioni, episodi, storie, un po’ di Storia, immagini e immaginazioni, episodi tragici e burleschi, o anche solo il banale quotidiano, avvenimenti diversi, insomma il raccolto che è sempre possibile fare quando ci mettiamo a fare domande e siamo disposti ad ascoltare, soprattutto se non abbiamo fretta. Girai per Lavre, Montemor-o-Novo, Escoural, per luoghi abitati e deserti, passai giornate intere all’aria aperta, da solo o in compagnia di amici, parlai con giovani e vecchi, sempre con un chiodo fisso: domandare e ascoltare.
(Saramago in “Diário de Lisboa”, 1980)
La documentazione che troviamo in questa esposizione permette al viaggiatore di stabilire alcuni parallelismi tra realtà e finzione, come accade nella testimonianza di João Besuga, dove il lettore facilmente troverà il riferimento a José Rato, che è il referente empirico del personaggio «José Gato». Oppure la testimonianza di João Serra, che è il referente empirico del personaggio «João Mau-Tempo». Il viaggiatore trova anche altri documenti che rispondono al medesimo scopo, come una piccola agenda divisa in ordine alfabetico con delle annotazioni a penna, dove il lettore può vedere la trasposizione dei nomi storici delle tenute e dei luoghi, in nomi di finzione presenti nel romanzo. Nella stessa intervista di Ernesto Sampaio possiamo leggere, inoltre, l’opinione dell’autore sulla relazione tra la sua opera letteraria e l’Alentejo, come riferimento spazio-temporale della narrazione.
Di quello che l’Alentejo è stato, credo che il mio libro potrà dare un’idea. Di quello che è, lo stesso libro saprà dire qualcosa. Per esempio, la repressione violenta, che in nulla si differenzia dai tempi del fascismo: esprime lo stesso odio verso il lavoratore agricolo. Quanto a quello che l’Alentejo sarà, non ho dubbi. Sarà una terra di donne e di uomini padroni delle proprie vite. Quando? Questo non so dirlo. Ma so che mi piacerebbe poter vedere ancora nel nostro Paese la solidarietà tra i lavoratori che ho trovato nei miei amici dell’Alentejo. Quello che lì è in gestazione è, letteralmente, un uomo portoghese nuovo. E i reazionari lo sanno. Lo sanno e ne hanno paura. Per questo ci sono gli insulti, le vessazioni, le aggressioni e le morti. È il vecchio mondo che vuole soffocare il nuovo. In mezzo a tutto questo, cosa fa il mio libro? Oggi è una testimonianza. Domani, mi auguro che potrà essere un reperto archeologico, dismesso, oppure, al massimo, e non sarà poco, un documento per la memoria collettiva. Un giorno sarà possibile dire: “Riteniamo che la vita in Alentejo fosse così…” È chiaro che non posso non esprimere un altro desiderio, più egoistico: che in futuro, grazie al valore letterario che il libro oggi ha e che domani potrebbe non aver perso, Una terra chiamata Alentejo continuerà a essere letto.
(Saramago in Diário de Lisboa, 1980)
Il viaggiatore continua il Percorso João Mau-Tempo per Rua dos Bacalhoeiros, svoltando subito a destra, all’altezza dell’Arco Porta do Mar. Sale Rua Afonso de Albuquerque e la Travessa Almargem, prende Rua São João da Praça e sale ancora, questa volta, la scalinata del Beco Quebra Costas, nei pressi della Cattedrale. In cima alle scale si trova Rua do Barão e, pochi metri più avanti, Rua Augusto Rosa, dove c’è l’antica prigione dell’Aljube che oggi è il Museo dell’Aljube – Resistenza e Libertà. La visita a questo luogo consente di avvicinarsi alla sofferenza del personaggio «João Mau-Tempo», nonché di tutti i prigionieri politici che passarono da qui. Ispirati dall’epiteto del Museo, ogni punto segnalato del percorso di Lisbona, affronta contemporaneamente la Resistenza e la Libertà in «João Mau-Tempo».
Resistenza
«João Mau-Tempo» è un personaggio che simboleggia la resistenza dei prigionieri politici durante la dittatura fascista, per come è riuscito a resistere alle torture, senza denunciare nessun compagno. Prima di andare a Caixas, dove venne incarcerato per circa sei mesi, trascorse trenta giorni in isolamento nell’Aljube. Nelle piccole e buie celle, conosciute come “cassetti”, possiamo facilmente immaginare la sua sofferenza.
Trenta giorni di isolamento sono un mese che non può contemplare nessun calendario. Per quanto si calcoli e se ne faccia la prova reale, sono sempre giorni d’avanzo, è un’aritmetica inventata da gente pazza, ci si mette a contare, uno, due, tre, ventisette, novantaquattro e, alla fin fine, l’errore sarebbe nostro, ancora sono passati solo sei giorni.
(Saramago 2010, p. 211)
Durante questi trenta giorni, «João Mau-Tempo» esce dall’Aljube solo per recarsi nella sede della PIDE, a Rua António Maria Cardoso, dove si eseguivano gli interrogatori ricorrendo alla tortura, come le settantadue ore di statua (Saramago, 2010, p. 215) le minacce di morte (Saramago, 2010, pp. 215-216) e le interminabili aggressioni all’integrità fisica e morale.
[…] di’ la verità, comunista, non li coprire, se mi racconti tutta la storia, te ne vai domani stesso a Monte Lavre, dai tuoi figli, e João Mau-Tempo, scheletro di un cane che s’è imbattuto in una pernice, ripete, Signore, la mia storia è presto detta, sono stato arrestato nel millenovecentoquarantacinque, ma da quella data non ho mai svolto tali attività, se qualcuno ha detto il contrario, ha mentito.
(Saramago, 2010, pp. 214-215)
Il cognome Mau-Tempo, secondo David Frier, può avere origine in Joaquim Mau-Tempo, che è sepolto nel cimitero di Montemor-o-Novo e risulta deceduto il 25 Aprile del 1973. Come il suo omonimo «João Mau-Tempo», neanche lui ha vissuto la rivoluzione del 25 Aprile del 1974 (Frier, 2019). Il referente storico di «João Mau-Tempo» é João Domingos Serra (1905-1982). Nel processo della PIDE a João Serra, possiamo leggere il seguente rapporto carcerario: “Tratto in arresto da questo corpo di Polizia a Montemor-o-Novo il 6 luglio del 1949, per accertamenti, registrato in data 7 luglio del 1949 e trattenuto presso il Deposito Prigionieri di Caixas (0.5.190/49). Trasferito alla prigione dell’Aljube l’8 luglio del 1949 (0.5.193/49). Trasferito al Deposito Prigionieri di Caxias l’8 agosto del 1949 (0.5.222/49). Rimesso in libertà il 23 novembre del 1949 (0.5. nº331/49).” (Torre do Tombo, 1949).
Uno dei torturatori di João Serra fu l’ispettore Fernando Gouveia, che figura nel romanzo come «ispettore Paveia» (Saramago, 2010, p. 208). Questo ispettore, uno tra i più temuti dai comunisti, era noto per l’estrema violenza dei suoi interrogatori e fu responsabile dell’incarceramento di centinaia di militanti, dirigenti e funzionari del PCP (cfr. Pimentel, 2008).
Libertà
Il viaggiatore esce dal Museo dell’Aljube e scende per Rua Augusto Rosa e Largo António da Sé. Il lettore di buona memoria ricorderà che questo percorso è lo stesso che «João Mau-Tempo» faceva per andare all’antica sede della PIDE.
Ma questo mastino che mi conduce per le strade deserte, com’è bella la notte, anche se si vede solo questo corridoio di cielo al di sopra dei palazzi, e a sinistra una cattedrale, e a destra un’altra chiesa piccola, quella di Sant’Antonio, e poco più avanti una né piccola né grande, quella della Maddalena, è una strada piena di chiese, sono sotto la protezione della coorte celeste, questo cagnaccio sta parlando pacatamente, dev’essere per questo, […]
(Saramago, 2010, p. 212)
Dopo sei mesi di carcere a Caixas, «João Mau-Tempo» viene lasciato da una guardia davanti alla porta della prigione dell’Aljube. Stando al romanzo, deve aver svoltato a sinistra dove c’è la Chiesa della Madalena per prendere l’omonima strada.
Era ormai buio quando la carretta ha lasciato João Mau-Tempo alla porta dell’Aljube, diavolo d’una vedova allegra che non conosce altre strade […] allora João Mau-Tempo afferra la sacca e la valigia e si mette a girare per le strade, ce la fa a stento coi piedi, zoppica, ha un vago ricordo che la stazione rimane sulla sinistra, ma teme di perdersi, quindi domanda a un uomo che passa, e quello gli dice, È sulla buona strada, […]
(Saramago, 2010, pp. 224 e 226)
Dal museo dell’Aljube, il percorso prosegue per Rua Augusto Rosa e Rua Santo António da Sé. Fino a Largo Madalena, il viaggiatore percorre parte del cammino che faceva «João Mau-Tempo» per arrivare all’antica sede della PIDE, nella Rua António Maria Cardoso. Costeggiando il largo e girando a sinistra, a Rua da Madalena, il viaggiatore riprende il percorso di «João Mau-Tempo», ora in libertà, sulla via di ritorno verso «Monte Lavre». Arriva, quindi, a Rua da Alfândega e, pochi metri dopo, sulla destra raggiunge Praça do Comércio.
Resistenza
Dopo essere sceso dall’imbarcazione, «João Mau-Tempo» prosegue, tra due guardie, che lo accompagnano fino alla sede della PIDE, dove attenderà il suo destino nella «casa della pazienza» (Saramago, 2010, p. 207) passando per Praça do Comércio.
Passiamo oltre senza osservare particolarmente neanche il percorso urbano, i tram, la carrozza col predellino basso che da queste parti abbonda, la gente che passa, qual è la destra del cavallo di D. José, attraversano in diagonale, João Mau-Tempo riconosce i posti, una piazza così grande non si può dimenticare, e gli archi, più grandi di quelli di Giraldo […]
(Saramago, 2010, p. 206)
Libertà
Ormai in libertà, «João Mau-Tempo» passa nuovamente per Praça do Comércio, diretto alla Stazione del Terreiro do Paço.
Ma se non ci sono barche né treni, dov’è che andrà a dormire, e João Mau-Tempo risponde semplicemente, Passerò la notte alla stazione, ci sarà pure una panchina, il peggio è che fa freddo, ma ormai ci sono abituato, molte grazie per la sua attenzione, e dopo averlo detto si allontana, ma l’altro dice, L’accompagno, mi dia la sacca che l’aiuto, e João Mau-Tempo, atroce dubbio, giacché viene fuori da una permanenza di sei mesi con gente piena di umanità, si sono preoccupati di lui, gli hanno insegnato, gli hanno dato tabacco e soldi per il viaggio, sembrerebbe brutto che sospettasse, João Mau-Tempo ha passato la sacca nelle mani dell’altro, a volte in città si vedono spettacoli del genere, adesso procedono insieme, scendono per il resto della strada fino al grande spiazzo, lungo le arcate, e subito dopo c’è la stazione, […]
(Saramago, 2010, p. 227)
Come si può comprendere dal romanzo di José Saramago, la resistenza al fascismo richiese grandi sacrifici. La repressione dei movimenti sociali fu terrificante e la resistenza riuscì a prevalere solo grazie al cameratismo, soprattutto tra i prigionieri politici, come José Saramago evidenzia quando parla della relazione di «João Mau-Tempo» con gli altri detenuti;
João Mau-Tempo rimarrà qui ventiquattr’ore. Non avrà occasione di parlare gran che, ma il giorno dopo un detenuto gli si avvicinerà e comincerà col dire, Senti, amico, non sappiamo per quale motivo tu sia finito qui, ma per tuo bene e orientamento prendi nota di questi consigli […]
Tanto si ritrovò a suo agio João Mau-Tempo che, trovando un compagno di prigione a fumare, gli chiese una sigaretta, una vera e propria audacia, ché non lo conosceva affatto, e subito altri gli offrirono del tabacco, ma la cosa più bella di tutte fu che un tizio, il quale se ne stava lì accanto a osservare la conversazione, si avvicinò con un’oncia di tabacco speciale, un mazzetto di cartine e una scatola di fiammiferi, Compagno, quando hai bisogno di qualcosa basta solo dirlo, finché ce n’è per uno ce n’è per tutti, immaginatevi come si sentì João Mau-Tempo, alla prima boccata crebbe di una spanna, alla seconda tornò al naturale, ma assai corroborato, lui così piccolo in mezzo agli altri che lo guardavano fumare e sorridevano.
(Saramago, 2010, p. 218)
Da Montemor-o-Novo, furono molti i lavoratori finiti nelle celle delle prigioni politiche e João Serra fu uno di loro. Spesso in prigione si facevano grandi amicizie, come ci riferisce il figlio António Serra.
“In realtà è a Caixas che conobbe questo individuo di Montemor che, se non mi sbaglio, aveva un nome tipo Catarro, che fu un suo grande amico. Fu un suo grande amico perché gli svelò come resistere alle torture senza denunciare nessuno. Non che mio padre lo desiderasse, ma le torture erano tali, il modo come lo trattavano era così duro, che aveva paura di non riuscire a resistere. E fu questo individuo che gli rivelò come fare per non denunciare i compagni. Ed era anche quello che gli dava il tabacco, e così diventarono grandi amici. (Serra, 2019).
Svoltando per Praça do Comércio, c’è subito la Stazione del Terreiro do Paço, dove termina il percorso a Lisbona. Fu qui che «João Mau-Tempo» sbarcò in qualità di «re di Portogallo», come narra Saramago, con la dovuta scorta della polizia e dove, con tutte le difficoltà di un mendicante, s’imbarcò per fare ritorno a casa.
Resistenza
La guardia «José Calmedo» arresta «João Mau-Tempo» mentre è al lavoro. Tra i lavoratori, la cui esistenza l’autore paragona alla vita strisciante degli insetti, che tengono sempre la testa china sulla terra, la guardia sceglie di portare al commissariato di «Monte Lavre» “la formica che alza la testa come i cani” (Saramago, 2010, p. 200). Da lì prosegue per il commissariato di Vendas Novas e da qui una nuova “passeggiata” fino a Lisbona.
Dopo c’è stato l’imbarco fino al Terreiro do Paço […] Ma João Mau-Tempo, solo in seguito lo si verrà a sapere, è figlio di re e unico erede al trono, viva, viva João Mau-Tempo, re di Portogallo, ecco la barca accostare al pontile, chi sta dormendo si è svegliato, e quando il prigioniero torna in sé, si ritrova davanti due uomini, Allora c’è solo questo, domandano, e quello che fungeva da accompagnatore risponde, Questa volta non ce ne sono altri.
(Saramago, 2010, p. 206)
Libertà
Dopo aver attraversato Praça do Comércio, «João Mau-Tempo» arriva finalmente alla Stazione del Terreiro do Paço, accompagnato da «Ricardo Reis» dell’Alfama, marito di «Ermelinda», il quale, non accontentandosi dello spettacolo del mondo, decise di aiutare «João Mau-Tempo».
La stazione fluviale del Terreiro do Paço, o stazione del Sud e Sud-est, si trova a pochi metri da Praça do Comércio. L’attuale edificio della Stazione del Sud e Sud-est, realizzata da Cottinelli Telmo, fu inaugurata nel 1932 e funzionò da raccordo tra Lisbona e la penisola di Setúbal, collegando, così, la capitale del paese con l’Alentejo e l’Algarve.
João Mau-Tempo ha qualche difficoltà nel capire gli orari, quei minuscoli numeri, e l’uomo lo aiuta, percorre con il dito le colonne, No, treni non ce ne sono, soltanto domani mattina, e mentre lo ascolta João Mau-Tempo sta già cercando un posto dove potersi accovacciare […] L’uomo è più vecchio di João Mau-Tempo, ma più forte e più agile, perciò deve frenarsi per seguire l’andatura dolorosa del resuscitato e, per fargli coraggio, dice, Abito qui vicino, nella zona di Alfama, e ha già svoltato per Rua da Alfândega, ha ripreso animo João Mau-Tempo, poi hanno imboccato certe viuzze umide e scoscese, umide, con questo tempo non c’è da stupirsi, una porta, una strada strettissima, una grondaia, […]
(Saramago, 2010, pp. 227-228)
Prima di terminare il percorso a Lisbona, il viaggiatore è invitato a considerare che fu proprio qui, nel Terreiro do Paço, che «Faustina Mau-tempo» arrivò, per prendere poi il treno per Caxias e andare a trovare suo marito.
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Faustina Mau-Tempo si è tolta le scarpe, ché non aveva i piedi abituati alla costrizione delle scarpe, ed è rimasta lì in calzini, ma questo è stato un dolore dell’anima, saremmo senza cuore se ci mettessimo a ridere, sono umiliazioni che poi ti rimangono a bruciare nel ricordo per il resto della vita, il catrame si era rammollito per la calura e ai primi passi le calze vi si sono appiccicate, e quanto più Faustina le tirava tanto più quelle si tendevano, è un numero da circo, il più bello della stagione, basta, basta, è appena morta la moglie del pagliaccio, e tutti piangono, il pagliaccio non fa ridere, è sgomento, proprio come noi che ci troviamo accanto a Faustina Mau-Tempo a farle da paravento perché la sua compagna la aiuti a togliersi le calze, con discrezione, che questo pudore femminile solo per un uomo è inaccessibile, e adesso sta camminando scalza e noi ce ne torniamo a casa, e se qualcuno sta sorridendo, lo fa per tenerezza
(Saramago, 2010, pp. 221-222)
«Faustina Mau-Tempo» ha come referente storico Júlia Perpétua de Oliveira. António Serra, suo figlio, ci racconta l’episodio nel quale Júlia de Oliveira andò a visitare João Serra nella prigione di Caxias.
“E allora mia madre una volta andò a trovarlo. Chiese denaro in prestito. Lo chiese a un signore chiamato Liberato, che era il fattore del Convento. Lui le prestò i soldi e lei ci andò con mia sorella, Maria Perpétua, andò a trovarlo a Caixas ma lui ormai era quasi un cadavere. E noi qui facevamo la fame. E insomma, a partire da quel momento João Serra diventò il comunista. Aveva sempre problemi, lo prendevano a lavorare solo perché mio padre lavorava come un mulo” (Serra, 2019).